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“Mancavano
solo pochi secondi al
termine dell’incontro, il risultato era ormai deciso e
cominciai a pensare di
fare in modo che il pallone non sparisse. In un modo o
nell’altro dovevo
prenderlo! Così cominciai ad avvicinarmi al giocatore del
Brasile che ne era in
possesso in quel momento e, rivolgendomi a lui in spagnolo, dato che
non
conosco il portoghese, gli chiesi di passarmi la palla. Forse per
l’eccitazione
del momento, lui non capì e così cominciammo a
darci una strana caccia a tempo
ormai scaduto. Chi capisce un po’ di arbitraggio
l’avrà certamente notato, ma
poi, approfittando di un fallo commesso da un giocatore tedesco,
riuscii ad
avvicinarmi al pallone e, dopo averlo preso, fischiai la fine
dell’incontro.
Per tutto il dopopartita, anche durante la premiazione, la palla rimase
in mano
mia perché c’era davvero il rischio che potesse
sparire”.
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“Dopo
due ore di tifo assordante (e di pioggia
incessante) dei 40.000 tifosi giapponesi, ci furono dieci secondi di
silenzio
assoluto e totale. La loro squadra (il Giappone) aveva perso e il loro
Mondiale
era finito. Quei dieci secondi mi sembrarono
un’eternità. Ora capisco cosa si
intende con l’espressione “silenzio
assordante”. Poi il pubblico scoppiò in un
lungo e commovente applauso. Il sogno della nazionale giapponese era
finito, ma
con quell’applauso i tifosi volevano dimostrare la loro
gratitudine per un
risultato che ritenevano comunque straordinario. Fu un momento magico,
un’emozione che raramente avevo provato prima”.
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